Intervento per il tumore alla prostata: informazioni utili per i pazienti, degenza, durata della procedura, rischi e controindicazioni.
Iniziamo dicendo che, attualmente, la chirurgia robotica è la procedura più utilizzata per il trattamento del tumore della prostata.
Ma perché consigliare l’intervento robotico?
I vantaggi della tecnica robotica, riconosciuti a livello internazionale, sono:
Il tumore alla prostata è una malattia che rappresenta circa il 18% delle neoplasie che vengono diagnostcate nella popolazione maschile.
Il marker più specifico che consente allo specialista urologo di individuare la presenza della malattia è il PSA, ovvero l’antigene prostatico specifico.
I primi controlli andrebbero fatti tra i 45 ei 50 anni, anche in assenza di una sintomatologia in atto. La diagnosi precoce, infatti, rappresenta un’arma formidabile per quanto riguarda il trattamento di questa particolare patologia.
Tuttavia, nel caso in cui il paziente fosse a conoscenza di precedenti familiari significativi (vale a dire manifestazione della malattia in parenti di primo o di secondo grado), allora è sempre consigliabile anticipare di qualche anno i controlli e lasciare spazio in agenda la visita urologica almeno una volta l’anno.
La buona notizia però, è che, onostante l’elevata incidenza il tumore alla prostata rimane malattia con una prognosi molto buona e che può essere tranquillamente curata oggi con tecnologie davvero all’avanguardia.
Una volta effettuata la diagnosi di malattia oncologica prostatica, dunque, la prognosi risulta sempre positiva.
Questo perchè, attualmente, abbiamo la possibilità di guarire completamente da questo tipo di malattia e, soprattutto il paziente è in grado di poter avere una qualità della vita quasi totalmente sovrapponibile rispetto a quella precedente alla diagnosi e successivamente all’intervento.
Le tecniche di cui disponiamo oggi sono estremamente innovative, perché il chirurgo non opera più a cielo aperto ma utilizza uno strumento robotico composto da due unità, il carrello paziente (ovvero l’un’unità che viene montata sul degente) e la console che serve al chirurgo per operare materialmente.
In questo modo, il chirurgo non è più fisicamente vicino al paziente ma opera a distanza di qualche metro, grazie ad una console che gli consente di maneggiare strumenti estremamente piccoli (massimo 5mm).
Quindi, in pratica, è come se ci fossero “due piccolissime mani” all’interno dell’addome del paziente che vanno a effettuare l’intervento.
La visione è supportata da una telecamera ad altissima risoluzione e 3d che consente di andare a vedere delle strutture anatomiche che normalmente potrebbero anche non essere a portata dell’occhio umano.
Questo consente una chirurgia estremamente più fine e risparmiativa.
Per quanto riguarda i vantaggi di questa procedura, la quasi totale assenza di cicatrici rappresenta uno dei più importanti per il paziente.
Con questo tipo di procedura, infatti, le cicatrici sono semplicemente quelle delle porte di accesso quindi parliamo di 5 mm fino al massimo un centimetro.
La finezza chirurgica è un altro elemento di fondamentale importanza. Gli strumenti, infatti, possono mimare completamente il movimento del polso umano andando però ad eliminare il tremore naturale della mano
Questo consente di risparmiare in maniera tutte le strutture deputate alla continenza per cui il recupero di questa funzione, a distanza di pochissimo tempo dall’intervento è quasi totale.
Ma soprattutto, sempre rimanendo oncologicamente corretti, si possono risparmiare anche tutte quelle che sono le strutture deputate all’erezione (ovvero il fascio vascolo nervoso periprostatico).
Questo contente al paziente di avere una vita sessuale attiva anche dopo l’intervento.
A partire da circa 6 h dopo la procedura, il paziente viene mobilizzato, comincia a bere e ad alimentarsi leggermente, il tutto entro la fine della giornata prevista per l’intervento,
Il catetere vescicale, viene mantenuto in sede per un periodo di solito variabile da 3-5 giorni, a seconda di alcuni fattori intra-operatori e del decorso post-operatorio.
Il paziente viene dimesso dall’ospedale senza catetere vescicale dopo 2-5 giorni.
Le possibili complicanze dell’intervento, vista la tecnica, sono praticamente assenti, tuttavia possibili, per cui è sempre bene averle chiare, visto che, sebbene mininvasivo, la prostatectomia radicale è comunque un intervento di chirurgia maggiore che, fino a pochi anni fa, si effettuava con taglio addominale.
Dunque, in conclusione, possiamo affermare che, sia perquanto riguarda l’intervento con il laser ad holmio, che per quello robotico servono 2 gg di ricovero. In caso di intervento robotico è possibile che il catetere venga tenuto fino a massimo 5 gg dopo l’intervento.